mercoledì 27 marzo 2013

Strumenti “parlanti”

In numerose lingue africane il significato delle parole dipende dall’intonazione con cui esse vengono pronunciate.
Prendiamo ad esempio la parola bogya: se l’intonazione con cui viene pronunciata è ascendente(_-) significa lucciola, ma se l’intonazione è discendente (-_) significa congiunto. I musicisti prendono spunto da questa caratteristica del linguaggio verbale e, riproducendo le inflessione della lingua, riescono a far parlare i loro strumenti.
In questo brano, il tamburo enuncia una frase musicale che il coro immediatamente ripete. In questo caso lo strumento a percussione è un dundun, un tamburo a due pelli della forma a clessidra.
Il musicista può modificare l’altezza del suono premendo le stringhe che mantengono in tensione le pelli. Per questa sua caratteristica il dundun viene chiamato “tamburo parlante”. Ma il dundun non è l’unico strumento “parlante”:  i Mandingo chiamano i loro xilofoni balafon, una parola che significa “far parlare i bala”  (cioè gli xilofoni).

Una cultura orale

Le musiche africane sono quasi tutte creazioni anonime e collettive che l’intera comunità conserva e tramanda alle giovani generazioni.
Poiché non esiste alcun tipo di notazione, la loro trasmissione è esclusivamente basata sulla memorizzazione e di conseguenza a ogni esecuzione i brani musicali si trasformano, rinnovandosi e sviluppandosi costantemente.
La cultura musicale africana è quindi essenzialmente orale.
Il compito di conservare il patrimonio culturale africano è affidato in particolare ai griot, il cui mestiere è generalmente ereditario.

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